07 Lug / Guttuso Incorpora Messina

Colori accesi e patine soffuse
Cosa c’è di più esaltante che sfiorare con le dita la scura patina d’una scultura bronzea? E nello stesso momento cosa c’è di più attraente che assaporare con gli occhi i forti colori d’una tela in un coinvolgimento quasi sinestetico di sensi? A Linguaglossa, al museo Messina – permanente Incorpora, si può.
La rassegna d’arte Guttuso Incorpora Messina – Inedite visioni ai piedi dell’Etna – ha catapultato infatti diverse opere dei tre artisti dalle pianure lombarde o da collezioni private alle falde del vulcano, simbolo d’una terra antica e sconvolgente. L’arte in Sicilia è di casa ed arabi e normanni, greci e romani seppero bene come la materia scultorea, il marmo o la creta o il bronzo, sposasse perfettamente le intense tinte della rossa lava che erutta e poi solidifica nei neri solchi che si aprono alla ginestra ed all’azzurro mare di Schisò. In questa cornice, tra magma di magna Grecia e scuole arabo-normanne nascono i nostri artisti, si incuneano pieni e vuoti e si accendono colori inebriando i sentimenti più puri di cui l’uomo è essenza stessa.
Non so chi dei tre sia più mediterraneo, né chi dei tre più ancestralmente poeta. So però che dei tre solo Incorpora rimase tutta la vita a lavorare sciabordando fra “sciare e ginestre” etnee. Messina navigò i suoi “poveri giorni” verso un mare in tempesta per approdare su di una pianura infinita con al centro Milano e Guttuso colse il fascino dell’Urbe per poi ascoltare i suoi battiti silenziosi in diapason con i laghi alpini della brianzola Velate.
Oggi i tre si confrontano a Linguaglossa, “attraverso un incontro serrato fra le opere” là dove le loro radici traggono alimento dal mare e dal fuoco, dall’aria ventosa e dall’intensissima luce, nel crogiolo del vulcanico Hēphaistos.
“Mentre Incorpora e Guttuso lavorano per addizione rendendo più reale del reale ciò che vedono, Messina …l’artista dello stupore della naturalezza… agisce per sottrazione…alla maniera di Michelangelo che per “via di levare” vuole arrivare all’idea delle cose materiali”. Così li descrive Sgarbi nella presentazione al catalogo della mostra. Definendoli ancora “tre modi di essere della realtà”.
“Fisicamente non si sono mai incontrati, ora le loro opere s’incontrano qui, ai piedi dell’Etna, nel cuore di quel fragore che mette in discussione ogni cosa” dice Antonio D’Amico nella sua prolusione al catalogo. Ed ancora “ Incorpora dal suo piccolo nido periferico, rispetto ai grandi centri ufficiali dell’arte, non si è mai placato ed è sempre rimasto coerente a se stesso, affine alla visione di Guttuso e lontano da quella di Messina, le cui opere, afferma, mettono in evidenza “il Suo sentire interiore” e gli suscitano commozione, non stancandosi mai di “ammirarle”.
L’estrema sintesi della loro arte è comunque descritta ancora da D’Amico che con un’immagine lirica continua “Questa contrapposizione sul piano artistico, laddove la scultura per Messina è un canto “in sordina” e per Incorpora e Guttuso è un “canto gridato”, sono lo specchio di quanto si è andato delineando nell’arte del novecento italiano.”
Ma addentrandoci tra i meandri delle opere ed entrando nel merito delle stesse non possiamo non cogliere aspetti suggestivi che ci fanno rivivere pathos e dinamiche dei tre artisti. All’arcadia di Messina, terra sognata e forse mai raggiunta, si contrappone l’aspetto marcatamente sociale di Guttuso o l’altro fin troppo prosaico di Incorpora che della guerra vissuta in prima persona dipinge quegli attimi di follia con il pennello del ricordo.
Di quest’ultimo per esempio è l’olio “Prigionieri costruiscono il ponte sull’Oder distrutto dai bombardamenti” del ’75. Stefano Saponaro sottolinea l’impatto emotivo ulteriormente accresciuto dall’uso della tela che “in verticale permette all’artista di concentrare l’attenzione sull’intenso sforzo compiuto dai prigionieri nel sollevare il cilindro di legno….sullo sfondo il cielo è rischiarato da sinistri bagliori…”
Di una simile atmosfera, almeno nello spirito, è permeata l’opera “Stampa clandestina” di Guttuso che Rino Tacchella definisce di “forte accentuazione espressionistica nei contrasti di colore”. Ed il tema sociale incede inesorabilmente con la rievocazione di “alcuni momenti salienti che hanno contribuito alla sua formazione politica e morale”. A Garcia Lorca o Notte Metafisica fan parte di questi momenti, continua Tacchella. Il primo “è il risultato di una interazione o fusione di una scelta ideologica con una scelta poetica capace di far scaturire dalla qualità espressiva dell’immagine il punto di vista del pittore”. Il secondo è in realtà composto da due tele. E’ un ricordo, in parte onirico (pittura d’un incendio della Cancelleria apostolica e d’un paracadutista) che però diventa “un segno premonitore di quanto stava per accadere in Europa con incendi, distruzioni e morti provocati dall’imminente conflitto”.
Eppure, come Dario Picco nelle sue critiche ai lavori sulle opere di Guttuso e Messina ci fa osservare, altri momenti vengono colti in mostra: quello del calcio, o della “mediterraneità di Guttuso” in cui ad esempio, come in Costa siciliana ”le pale di fichidindia, nel loro carnoso spessore, sono dipinte con un tortuoso plasticismo, una forma nervosa e tesa, dinamica, impetuosa, quasi neo-manierista.” E poi ancora Guttuso “nella seconda metà degli anni cinquanta si concentra sul realismo della natura e del paesaggio” come in Casa di Panarea o come “preannunci di svolte stilistiche” in Tramonto da Velate, o di trasformazioni come “punto di rottura con l’ottica del realismo esistenziale” in Natura morta con barattoli.
Altri temi in Guttuso sono tuttavia pregnanti ed inseriti in mostra: quello dei nudi è particolarmente sentito. In esso, Picco sottolinea, “il nudo d’una donna diventa argomento per la sua capacità di racchiudere contemporaneamente pittura, melanconia ed erotismo”.
Ma il bronzeo Cavallo di Messina, è altro, là dove “la struttura morfologica rivela il vigore e l’innata eleganza” tanto che “le zampe nella loro esile muscolatura sono tese nel momento impegnativo ed estenuante della corsa, nell’accanimento e nella foga selvaggia”.
Pure Messina fu colto dalla guerra che lo costrinse a lasciare Milano per rifugiarsi a Dolo, lungo il veneto fiume Brenta. Ma a differenza d’Incorpora, “pure in un contesto così tormentato, Messina non rinuncia a cogliere la genuina e delicata bellezza di una fanciulla incontrata nella località veneta”, la Venere del Brenta.
Al canto “a squarciagola” d’Incorpora si contrappone così quello “in sordina” di Messina per eliminare “certe esuberanze espressionistiche”, osserva ancora Picco. E così il Ritratto di Salvatore Quasimodo o la Coppia di colombi di Messina “a forza di lavoro, di polimento della forma, di acutezza plastica d’ogni angolo della scultura….nascono come creazioni piacevoli a toccarsi, a guardarsi, a fiutarsi”.
Si chiude così il cerchio con questa sinestesia di sensi ed i “tre modi di essere della realtà” che Sgarbi sottolinea, qui, ai piedi dell’Etna, colgono realmente il segno.
Giovanni Maria Incorpora